Una raccolta di appunti che riguardano piante spontanee e tradizionali dell'ambiente mediterraneo del centro Italia; possono essere di ispirazione nella realizzazione di un giardino mediterraneo e/o di un giardino secco.
Questo testo è una raccolta di appunti che riguardano piante spontanee e tradizionali dell'ambiente mediterraneo del centro Italia; possono essere di ispirazione nella realizzazione di un giardino mediterraneo e/o di un giardino secco. E' un elenco incompleto che si basa su osservazioni dirette delle piante allo stato naturale e talvolta la loro coltivazione in giardino.
Dal momento che queste piante crescono in modo spontaneo, esse sono perfette per trasmettere le emozioni dell'ambiente mediterraneo, sono ben adattate in tale ambiente e non hanno esigenze particolari (di acqua e concimazione) per sopravvivere una volta attecchite.
Il giardino, secondo me, è un luogo che va oltre l'aspetto visivo, per questo ho voluto talvolta proporre anche semplici ricette, preparazioni erboristiche, usi tradizionali, non come ricerca etnobotanica ma come invito ad una esperienza più profonda con le piante che sono belle, colorate, profumate, gustose e da sempre utili all'uomo.
Da bambino abitavo in un appartamento in un piccolo paese industriale nella pianura padana. E' un luogo tuttora non molto curato in cui i marciapiedi sono semplicemente una prosecuzione dell'asfalto stradale. Nonostante questo, nella crepa tra l'asfalto del marciapiede e bassi muri di recinzione delle abitazioni nascevano piccole variopinte viole del pensiero. Ogni volta che uscivo di casa le cercavo con lo sguardo e negli occhi di un bambino apparivano bellissime, era mia convinzione che qualcuno le avesse seminate.
Il primo sogno di cui ho memoria è stato questo: mia nonna, mia madre ed io camminiamo in fila lungo il fianco di una collina in una giornata di sole. L'ambiente è sassoso, con vegetazione rada e bassa. L'interpretazione che diedi del sogno era stata quella che avevo sognato il paradiso; ricordo ancora oggi quella immagine sognata che ho descritto, avevo quattro o cinque anni.
Terminati gli studi ho potuto assecondare la mia predilezione nei confronti dei luoghi naturali e ho iniziato ad esplorarli in modo non sistematico. Talvolta vicino a casa, talvolta più lontano per una vacanza o una gita fuori porta, talvolta lontano per questioni sentimentali.
In questo periodo ho scoperto dei luoghi che mi è venuto spontaneo chiamare "giardini naturali" in analogia con parchi naturali. Il giardino naturale è un luogo creato spontaneamente dalla natura la cui piacevolezza va oltre la normale esperienza. Piacevolezza a cui non può mancare la classica bellezza intesa come ordine naturale e la cui definizione è aperta a ogni tipo di esperienza sensoriale, evocazione interiore, stimolo.
Non farò l'elenco di questi luoghi ora perché non è importante, anche una crepa nell'asfalto può essere un giardino meraviglioso nel cuore di un bambino.
Quando penso a come doveva essere il nostro territorio mediterraneo prima della industrializzazione penso... quanta bellezza sprecata e a volte anche... quanta gioia sprecata. Riprendendo il termine piacevolezza, le nostre coste mediterranee hanno caratteristiche ideali per la vita delle persone, e molto più che per la vita, per la felicità. Dal clima piacevole tutto l'anno, all'abbondanza di cibo, alla straordinaria diversità di paesaggi e natura, alla salubrità di luoghi e alimentazione, alla storia più antica delle nostre origini che è mito senza tempo, ai popoli che vi abitano: accoglienti, generosi, passionali.
«Gli italiani sono cortesi e gentili, sempre desiderosi di rendere un servizio: anche voi dovreste essere cordiali con loro e pronti a fare amicizia.»
(Italia, Guida Michelin)Le piante che crescono in riva al mare sono particolari, la vicinanza al mare conferisce profumi e sapori molto più intensi oltre che renderle spesso molto rigogliose.
Ho scoperto la ruta mentre ero seduto su una roccia su una scarpata affacciata sul mar Tirreno. Il suo odore intenso e ha richiamato l'attenzione così come la forma particolare delle foglie che avevo visto solo sui libri. Un odore che successivamente mi è diventato familiare e che personalmente considero un insolito e gradevole profumo. La ruta è una pianta che ha una storia antichissima come uso nella medicina tradizionale.
Da vero rimedio è una pianta tossica e vale il principio che la quantità che distingue tra medicina e veleno.
«Tutto è veleno: nulla esiste di non velenoso. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto.»
ParacelsoLe scogliere italiane sono l'habitat perfetto di questa particolare varietà di finocchio che crea armoniosi cuscini verdi, talvolta ricadenti se posizionati su falesie. La geometria frastagliata delle foglie può ricordare l'assenzio, mentre la loro tridimensionalità la rende quasi una pianta grassa. Al profumo fresco tipico della specie corrisponde un sapore intensissimo a cui il nostro palato difficilmente è abituato. In realtà, in alcune regioni d'Italia fa parte della cucina tradizionale ed è stato necessario dichiararla specie protetta per evitare la raccolta indiscriminata. L'uso alimentare è molto antico, pregiatissimo dal punto di vista nutrizionale, infatti è da sempre considerato alimento benefico per la salute.
Ho visto il finocchio marittimo ricoprire in parte e ricadere da muri in sasso in un vecchio porto di un borgo marinaro (Tellaro): un armonioso giardino spontaneo verticale. Questa pianta ama a tal punto il clima di mare che lo si trova anche sulle scogliere artificiali, o vicino ai classici stabilimenti balneari. Sugli arenili naturali in Toscana è presente una pianta molto simile come sapore, il finocchio litorale spinoso (Echinophora spinosa L.).
Del Crithmo ò vero Chrithamo Cap. 118.
Il Crithmo, ò vero, come dicono alcuni, Crithamo, è un'herbetta fruticosa,
per tutto piena di frondi, la qual cresce all'altezza quasi d'un gombito: Nasce
nelle maremme, e in luoghi sassosi, con assai frondi, al gusto salse, grasse,
biancheggianti, come sono quelle della Procacchia, quantunque più larghe, e più
lunghe: Produce i fiori bianchi, e'l seme come quello del Rosmarino, tenero,
odorato, e tondo. Rompesi, quando è secco, e hà di dentro un nocciolo simile a
un granello di Grano. Le radici, le quali hora son tre, ò vero quattro, son
grosse un dito, e spirano d'un giocondo, e aggradevole odore. La decottione
delle radici, delle frondi, e del seme fatta nel vino, e bevuta vale all'angoscie
dell'orina, al trabocco di fiele, e a provocare i mestrui. Mangiasi il Crithmo
crudo ,e cotto, come l'altre herbe degli horti, e conservarsi ancora in salamoia.
Il mirto è una splendida pianta mediterranea a cui non manca davvero nulla. Lo ritrovo spesso nelle passeggiate nei boschi che si affacciano sul mar Ligure oppure sui sentieri che portano al mare nelle spiagge Toscane. A volte è sufficiente il profumo che diffonde per accorgersi della sua presenza, il modo più semplice per riconoscerlo è proprio strofinare le dita sulle foglie e riconoscerne l'odore. E' un cespuglio bellissimo, la chioma è densa e compatta, le foglie sono lanceolate, proporzionate, piccole, eleganti, fini, dal profumo agrumato, fresco, delizioso. La fioritura avviene in estate e i piccoli fiori bianchi hanno profumo di propoli. I frutti (bacche blu scuro) sono maturi in autunno/inverno. Sia le foglie che i fiori che le bacche sono utilizzate a scopo erboristico e liquoristico. Le foglie fresche possono essere usate direttamente per l'aromaterapia come facevano i nostri antenati.
Mio nonno era un contadino, aveva fatto la guerra come la maggior parte degli uomini della sua generazione, ma non lo ricordo affatto indurito, era anzi una persona sensibile, semplice, e in pace con se stesso. Probabilmente non aveva mai sentito parlare di aromaterapia tuttavia lui mi ha insegnato il gesto semplice di arrotolare una foglia di basilico appena raccolta, infilarla nella narice e respirarla a piacere. La stessa cosa si può fare con foglie morbide e dal profumo gradevole. Provate a farlo con la melissa o con la menta o... con il mirto.
Riempite un vaso a chiusura ermetica con bacche di mirto mature, dopodiché ricoprite completamente il contenuto con grappa bianca e lasciate a macerare per 40 giorni. Travasate e filtrate. A questo punto aggiungete zucchero o miele per dolcificare come di vostro gradimento. Potete aggiungere altra grappa pura per aumentare il grado alcolico al fine di migliorare la conservazione se lo ritenete necessario. Può essere utile far asciugare/appassire qualche giorno le bacche prima di fare il macerato idroalcolico.
Il lentisco è un arbusto sempreverde appartenente alla famiglia della Anacardiacee, la stessa del pistacchio. A differenza di questo i suoi semi sono molto più piccoli, contenuti in piccoli frutti, prima rossi, poi neri. E' un arbusto diffusissimo negli ambienti mediterranei costieri, facilmente riconoscibile dalle foglie composite dal bel colore verde lucente. Si presenta spesso come un cespuglio globoso, non tanto alto, compatto grazie al denso intreccio dei rami e al fogliame abbondante. E' un vero e proprio simbolo delle nostre coste mediterranee, dove si trova perfettamente a suo agio nonostante i venti, la moderata salinità, la presenza di altre piante.
«Nasce il Lentisco abondantemente in Italia e specialmente nelle maremme di Siena. Nasce nelle superbe e antiche ruine Romane, e veggonsene nella costa di tutto il mare Tirrheno andando verso Gaeta, e verso Napoli infinitissime piante; tra le quali ve n'è assai di quello, che cresce, e s'ingrossa in albero e di quello, che senza fare alto tronco, manda dalle radici spessissimi sarmenti, nel modo che fanno i Nocciuoli salvatichi.»
P.A. MatthioliNelle coste Liguri e Toscane che visito spesso il lentisco è spesso una presenza importante in termini di quantità di piante, diventando talvolta l'elemento generativo del paesaggio. Questo stesso ruolo lo si può riproporre volontariamente nella realizzazione di un giardino viste le sue utili caratteristiche.
Xeriscaping è un termine che unisce il greco "xeros" (secco) e l'inglese "landscaping" (gestione del paesaggio). Questo metodo permette di risparmiare acqua scegliendo piante adatte al clima locale e utilizzando tecniche che riducono la perdita d'acqua per evaporazione, filtrazione, dilavamento ed erosione.
Conosciuta come mastice di Chio, la resina del lentisco è stata utilizzata sin dall'antichità per le sue proprietà terapeutiche. È stata impiegata per trattare disturbi gastrointestinali, infezioni del cavo orale e come antisettico naturale. Tutta la pianta era considerata medicinale con virtù costrittive, dai semi veniva estratto l'olio per uso anche alimentare, e anche i giovani germogli, nella antica Grecia venivano raccolti e conservati sott'olio come tramandato dal medico Galeno.
Tutti noi conosciamo il rosmarino piantato da sempre vicino alle case in virtù dell'uso in cucina e della facilità di coltivazione. Sono due le varietà che comunemente si vedono nei giardini, quello con portamento a cespuglio / arbusto e quello ricadente / prostrato. Quando ho visto la prima volta i rosmarini spontanei in riva al mare ho scoperto che in realtà non sono tutti uguali, le piante spontanee di rosmarino differiscono per lunghezza delle foglie, colore dei fiori, densità della foglia, dimensioni.
Come mai le varietà commerciali sembrano tutte uguali? Il rosmarino è una pianta che si riproduce con una incredibile facilità per talea, le piante riprodotte in questo modo sono perciò cloni perfetti della pianta originale. Sarebbe bello -e facile- che quando acquistiamo una pianta di rosmarino ci fosse indicata l'origine della pianta madre dove è stata raccolta la prima talea e che ci fosse maggiore varietà, come presente allo stato spontaneo.
La capacità dei questa pianta di rigenerarsi a partire da un frammento di essa è stata associata in passato alle sue proprietà di ringiovanire il corpo e la pelle. Nel mito si narra infatti che grazie all'acqua di fiori di rosmarino preparata da un alchimista, la settantenne regina di Polonia ringiovanì e divenne sposa di un giovane principe. Il nome comune toscano è ramerino anziché rosmarino. Concentra quindi l'attenzione sul rametto e non sul fiore quale parte della pianta che si usa.
Propagare per talea il rosmarino è semplicissimo, si possono utilizzare frammenti di dimensioni anche molto piccole (10cm). Io procedo così: in autunno, quando il clima non è più arido metto a dimora le talee direttamente in terra. Nel caso sia un terreno inerbito è meglio usare talee più lunghe (20-30cm) in modo che non siano soffocate dalle altre erbe; in questo caso, sarà utile periodicamente liberare la pianta dalle infestanti che le crescono intorno. Nel caso lo si pianti direttamente tra i sassi vanno bene le talee più corte. Le talee possono essere inserite anche nelle fenditure grossolane di muri a secco per usarla in un giardino verticale. Scegliendo il periodo giusto per questa operazione (autunno) non sono necessarie annaffiature. Non è necessario alcun ormone radicante.
E' un erba perenne cespugliosa caratteristica delle scogliere italiane. Il nome cineraria è conseguente al tipico colore estivo cenere-argenteo delle foglie che sono spesse, lanuginose, dalla elegante forma frastagliata. La fioritura che avviene in piena estate, è di colore giallo intenso e non poteva essere diversamente per questa pianta che si trova a suo agio in luoghi luminosi e nel caldo torrido delle scogliere. La cineraria non ha profumo e anche questo è in linea con suo aspetto incenerito dal sole estivo.
Il ginepro è presente in Italia in numerose varietà. Quello usato in cucina e come pianta aromatica è il ginepro comune (Juniperus communis) ed è l'unico considerato commestibile in quanto le altre specie sono classificate come tossiche (con il ginepro rosso (Juniperus oxycedrus) si realizza invece l'olio di Cade che ha solo uso esterno). E' possibile trovare il ginepro comune all'interno di boschi e pinete litoranee, mentre è presente sulle dune marine il ginepro coccolone (Juniperus oxycedrus subsp. macrocarpa) dove agisce come pianta pioniera consolidando la duna e favorendo l'insediamento di altre specie vegetali.
Il ginepro comune è talvolta un piccolo arbusto dal portamento prostrato specialmente se lo si ritrova all'interno di boschi. Talvolta è invece un elegante alberello dal portamento colonnare (come frequente sull'Appennino Tosco-Emiliano). Perciò capita che queste piante formino caratteristiche e armoniose macchie che ricordano gruppi di cipressi.
Il ginepro rosso lo si trova anche sui pascoli nudi e aridi in cima alle montagne oltre che a pochi metri dal mare. In entrambi i casi con portamento arbustivo, resistenti al vento, all'ambiente arido, adattabile a terreni poverissimi, ben protetto grazie alla sua chioma pungente.
Il legno di ginepro è duro, lavorabile, dal piacevole profumo caratteristico di resina. Fino a un recente passato veniva usato anche per disinfettare gli ambienti (ad esempio negli ospedali francesi) bruciato come incenso su bracieri. Le botti in legno di ginepro sono utilizzate per conferire aroma all'aceto balsamico.
Amo tutte le euforbie, a tal punto che anni fa ne misi in bocca per sbaglio una piccola foglia per scoprirne il sapore piccante per non dire urticante (voi non fatelo). Trovo meravigliosa la geometria concentrica dei fiori sottolineata dal colore che varia con perfetta gradualità dall'esterno verso il centro del fiore. La maggior parte delle euforbie sono erbe, non sempre competitive con altre più alte, ma che grazie alla loro linfa caustica (ricorda il latte della pianta di fico) non sono brucate dagli erbivori.
L'euforbia arborea invece è un vero e proprio alberello che si incontra facilmente lungo le scarpate aride ed assolate esposte verso il mare. La bellissima forma a bottone o a semisfera schiacciata della chioma è ottenuta dalla ramificazione che a partire dal tronco crea un intreccio regolare man mano sempre più complesso. Questa stessa complessità è visibile nella chioma che appare formata da tanti globi, grazie alle estremità di colore più chiaro il cui colore varia dal verde al giallo al rosso a seconda del periodo dell'anno.
Le euforbie sono un genere vastissimo di piante, alcune specie si sono perfettamente adattate al clima italiano, diventando elementi caratteristici del paesaggio. Con le loro forme uniche e i colori vivaci offrono un tocco originale, richiamano i loro habitat naturali spontanei e tradizionali: luoghi aridi naturali, fasce fluviali sassose, uliveti, colline costiere.
Euphorbia characias: Una specie perenne con grandi infiorescenze giallo-verdi, molto apprezzata per la sua fioritura prolungata.
Euphorbia myrsinites: Una pianta tappezzante con foglie carnose e bluastre, ideale per creare bordure o ricoprire zone rocciose.
Euphorbia amygdaloides: Una specie molto comune, con foglie lanceolate e infiorescenze giallo-verdi. Si trova spesso nei boschi e nei luoghi incolti.
Euphorbia helioscopia: Un'altra piccola pianta annuale, con infiorescenze gialle a forma di ombrella. Si trova nei campi coltivati e nei luoghi disturbati.
Ogni anno faccio un giro ai lidi Ferraresi, sono emiliano e volente o nolente quello è il mare d'Emilia. Nonostante il colore dell'acqua pesantemente rovinato dalla vicina presenza della foce del fiume Po, sono stato entusiasta del paesaggio che ho trovato a fine estate tanto da considerarla una delle spiagge più belle che ho visitato. Protagonisti di questo arenile sono i cespugli di sparto pungente che punteggiano la sabbia chiara delle dune. I cespi lunghi, sottili, flessuosi dello Sparto hanno una innata armonia nel disporsi, mossi dal vento, come eleganti chiome ordinate. Oltre a possedere la semplicità dei fili d'erba.
La ginestra comune è diffusa in tutte le regioni di'Italia, dal mare alla montagna, questa a testimoniare la straordinaria adattabilità di questo stupendo arbusto. Tra gli ambienti dove è ben adattata vi è anche quello marino, mi è capitato di vederne alcune veramente a pochi metri dal mare ed è sempre presente nelle macchie che si affacciano sul mare.
Il profumo, così intenso da essere definito da alcuni sensuale, accompagna la stupenda fioritura gialla primaverile. Questo odore è proprio quello a cui il poeta paragona quello dei capelli di Ermione nella celebre poesia La pioggia nel pineto.
« [...] e le tue chiome auliscono come le chiare ginestre, o creatura terrestre che hai nome Ermione. [...] »
G. D'AnnunzioLa ginestra è anche una utile pianta pioniera e miglioratrice del terreno, viene usata in interventi di rinaturalizzazione e mitigazione ambientale, vista anche la velocità di crescita e la capacità di auto-propagarsi facilmente mediate i semi.
I rametti della ginestra sono fibrosi, per questo in passato era utilizzata per produrre fili tessili. Questa stessa caratteristica la rendeva adatta per essere usata per legacci e oggetti intrecciati fini e leggeri.
E' una pianta che contraddistingue luoghi caldi e assolati. Assolutamente non esigente nei confronti del terreno, anzi si potrebbe considerare una pianta pioniera estrema. Oltre a trovarla vicino al mare, sia tra le rocce delle scogliere, sia sugli arenili sabbiosi, mi è capitato, sull'appennino tosco emiliano, di vederla insiediata in una vecchia cava dismessa e persino nell'alveo sassoso di un torrente in alta collina.
Al mare è perfettamente a suo agio, qui si trovano piante vigorose, dense di fronde dal luminoso colore chiaro simile alla cineraria. Il profumo di tutta la pianta è delicato, gradevole, dolce, a me ricorda la liquirizia; lo stesso vale per il sapore delle foglie fresche.
Il nome di questa pianta richiama il colore delle sue infiorescenze, un giallo chiarissimo e molto luminoso. Questa caratteristica era usata in passato per intrecciare corone con cui venivano adornati principi e re, e probabilmente a scopi magici per chi ricercava ricchezza. Gli usi tradizionali descritti comprendono decotti, oleoliti e infusi/macerati idroalcolici (vino medicato) fatti sia con l'erba che con i fiori. L'olio di elicriso (tradizionalmente un oleolito) è apprezzato per i disturbi allergici della pelle (ad esempio la psoriasi) ed è considerato un antistaminico.
Tra gli usi tradizionali dell'elicriso vi è anche quello di metterlo tra i vestiti per proteggerli dalle tignole.
Prima che le mareggiate si portassero via decine di metri di arenile, andavo spesso nella spiaggia romagnola antistante la grande pineta di Classe; era una delle poche oasi naturali lungo quella costa forse un po' troppo antropizzata. Qui erano presenti dune su cui crescevano tamerici che formavano densi e ampi cespugli di colore verde pallido. Le tamerici le ho ritrovate in un contesto di spiaggia naturale ancora più bella nella costa Ferrarese prima della foce del Po.
La sua elegante semplicità si manifesta anche all'inizio dell'estate con la fioritura di colore rosa pallido. Le chiome, così come anche i rametti fioriti hanno un aspetto sottile e leggero, evocano la leggerezza delle piume.
Questa pianta è utile a proteggere il terreno dei litorali, grazie alle sua rusticità e alle radici profonde stabilizza le dune mentre le sue chiome attenuano i venti marini. E' inoltre considerata fitodepurativa in quanto in grado di assorbire sostanze inquinanti tra cui i metalli pesanti. Tutte queste caratteristiche sono un ottimi motivi per cui andrebbe utilizzata estensivamente sui nostri fragili arenili alterati delle attività umane.
Questa erbacea perenne è la regina delle mie passeggiate primaverili in Liguria. Il color verde mare del fusto e delle foglie e ancor più il rosso tendente al fucsia dei fiori celebrano in grande stile il risveglio della natura mediterranea. Si è adattata particolarmente bene alle zone costiere prediligendo terreni rocciosi, cavità nei muri a secco e nei pendii. E' in queste fessure che spesso si ancora la sua robusta radice per librarsi alla ricerca di luce e aria, disegnando con la parte aerea curve ampie e flessuose. La fioritura, che si prolunga fino all'estate, dà il meglio di se in tarda primavera.
E' una pianta che è stata usata nella medicina tradizionale per curare epilessia, mal di testa e dolori mestruali. In erboristeria fiori, foglie e soprattutto radici sono usati in preparazioni a cui sono attribuite proprietà calmanti, ipnotiche, sedative, antinfiammatorie.
In antichità la valeriana era chiamata Phu, come sostenuto dal Matthioli che ne distigue tre tipi: phu minore, phu maggiore e phu minimo. Questa curiosa osservazione è riferita alle radici.
«I gatti amicissimi del Phu minore.
Di quelle della minore si dilettano
meravigliosamente i gatti, di modo che vi vengono all'odore assai di lontano, e se
la mangiano avidamente con non poco mormorio, e piacere»
L'acanto è una pianta erbacea perenne che non passa inosservata, non solo per le sue insolite dimensioni. La foglia, in epoca classica, era una icona di bellezza. Veniva ritratta, stilizzata, scolpita dagli artisti che davano così prova della loro abilità vista la complessità del soggetto. Integrata anche nell'architettura essa è l'elemento distintivo dei capitelli dell'ordine architettonico Corinzio, il più slanciato ed elegante con cui gli antichi costruivano i loro edifici. L'infiorescenza, non è da meno delle foglie: si tratta di una splendida spiga con colori che vanno dal bianco al violetto. Queste piante, non di rado, arrivano ai 150cm di altezza, con le singole foglie che misurano fino a 40cm di lunghezza. In antichità le radici furono usate come rimedio popolare.
«Sono le sue radici molli, vencide, viscose, lunghe e rosseggianti, le quali sono, impiastrate, convenevoli alle membra smosse e alle cotture del fuoco. Bevute provocano l'orina ma ristagnano il corpo, e sono grandemente utili à thisici, ai rotti, e à gli spasimati.»
Dioscoride (traduzione Matthioli)Ho visto questa pianta, spesso in colonie numerose, lungo i sentieri umidi, sassosi e ombreggiati che portano alle calette nella Liguria di Levante, o ai margini delle strade, sempre in contesti non tanto assolati e ben drenati. La sua collocazione naturale nei giardini è perciò al margine di macchie o uliveti, oppure nei pressi delle siepi, sul lato ombreggiato a riprodurre le caratteristiche bordure che troviamo spontaneamente.
Dal momento che l'ambiente mediterraneo è ideale per la vita dell'uomo, le piante commestibili, utili rappresentano la piacevolezza, l'agio e privilegio del vivere in questi luoghi.
L'aglio selvatico è presente in modo quasi ubiquitario nella Liguria di Levante che frequento. Qui si trova in grandissima abbondanza l'aglio triquetro (Allium triquetrum L.) che cresce nelle macchie, a margine di sentieri ombreggiati, nelle fenditure dei percorsi pedonali dei borghi, nelle aiuole, nelle scarpate. Predilige luoghi umidi e non troppo soleggiati; da il meglio di se in primavera con la sua splendida fioritura di campanule bianche e le foglie eleganti, nastriformi di colore verde lucido. E' una pianta che vegeta dall'autunno alla primavera, dopodichè la parte aerea si secca completamente nella stagione più calda e secca.
E' un ottima pianta commestibile, io raccolgo le foglie giovani che uso tritate crude per insaporire minestre, insalate e frittate. Hanno un sapore delicato e una consistenza morbida, si possono perciò usare allo stesso modo dell'erba cipollina.
La salvia selvatica è una pianta ampiamente diffusa nei prati. E' facilmente riconoscibile per le spighe fiorite viola che assomigliano a quelle della "sorella maggiore", la salvia officinale. Questa seconda è pianta conosciutissima e coltivata ovunque in virtù del suo uso in cucina, della sua bellezza, e dei suoi usi nella medicina popolare. E' proprio questo ultimo punto che l'ha resa un mito tra le erbe mediterranee.
La salvia era un rimedio fondamentale per la Scuola Medica Salernitana, attiva tra il IX ed il XIII secolo. Era considerata una vera e propria panacea, in grado di curare una vasta gamma di mali.
Alcuni dei modi in cui la salvia veniva utilizzata dai medici salernitani:
La Scuola Medica Salernitana ha dato un grande contributo alla diffusione della conoscenza delle proprietà benefiche della salvia. Grazie ai loro scritti, questa pianta è diventata popolare in tutta Europa e ha continuato ad essere utilizzata per secoli come rimedio naturale.
Nei detti e proverbi antichi e moderni si riflette l'importanza della salvia:
"Perché dovrebbe morire un uomo nel cui orto cresce la salvia?"
"La salvia è l'erba sacra che guarisce settanta malattie."
"Più salvia mangi, più a lungo vivi."
Oltre ai proverbi, ci sono anche molti modi di dire che includono la salvia. Ad esempio, si dice che "una persona è saggia come la salvia" come elogio.
La salvia è la mia medicina naturale preferita in combinazione con il digiuno. Uso quasi esclusivamente questa erba per qualsiasi disturbo facendo un decotto dal sapore gradevole con qualche foglia. La possibilità di raccoglierla fresca in giardino in qualsiasi stagione me la fa preferire a qualsiasi altro rimedio. Il valore terapeutico del fitocomplesso contenuto in questa magnifica pianta è amplificato dal nome suggestivo che è già di per se un rimedio, Salvia!
Se c'è una pianta medicinale che può stare al pari della Salvia, questa è l'Aloe vera. Nonostante non sia strettamente autoctona dei paesi mediterranei (bensì del Sudafrica), essa è coltivata da tempi immemorabili, basti pensare che era utilizzata ampiamente nel processo di imbalsamazione dagli antichi egizi. Nel vangelo di Giovanni si narra che Nicodemo avvolse il corpo di Gesù Cristo in un telo intriso di Aloe e Mirra. Al pari di Aloe vera (e secondo le analisi chimiche fatte sui composti presenti anche migliore) per le proprietà curative vi è Aloe arborescens.
Nella farmacopea tradizionale era iscritta per le sue doti lassative; l'aloe-spezia presente un tempo nelle botteghe degli speziali era un prodotto essiccato ottenuto dalla disidratazione e talvolta cottura dell'intera pianta. La scienza ha dimostrato e certificato le proprietà benefiche per la pelle: Aloe vera è usata con successo nella cura delle ustioni, promuove la guarigione e contemporaneamente agisce come disinfettante. Gli usi popolari invece sono ancora oggi dibattuti e non sono riconosciuti dalla medicina ufficiale, vanno dall'essere un digestivo alla cura dei tumori.
Attualmente si utilizzano:
In alcuni paesi del sud America la pianta viene tenuta in casa per allontanare le mosche. In Africa, appesa, sul letto per tenere lontano le zanzare. Anche il succo di aloe spalmato sul corpo veniva usato allo stesso scopo di tenere lontane le zanzare. Il gel è usato anche per lenire e disinfiammare le punture degli insetti e anche favorire la guarigione delle ustioni causate dalle meduse. In generale per ogni forma di irritazione cutanea l'aloe è un rimedio consigliato per la sua efficacia e mancanza di controindicazioni.
«Quattro sono gli alimenti che sono indispensabili perchè l'uomo viva bene: farina, uova, oliva e aloe. Il primo lo alimenta, il secondo lo solleva d'animo, il terzo gli da armonia, il quarto lo cura.»
Cristoforo ColomboHo visitato alcuni paesini antichi vicini alla costa Ligure, per anni li ho osservati con curiosità da lontano, si trovano sulla cima delle prime colline che si affacciano sulla pianura antistante il mare. Qui le strade del centro storico sono strette e con scalini, perciò l'unico modo per spostarsi è andare a piedi. La bellezza di questi luoghi si rifà più al concetto di pittoresco che a quello di monumentale, ma la loro collocazione tra pianura, mare, colline coltivate a ulivo fa si che molte visuali siano incorniciate da grandiosi e variegati paesaggi.
In questi tranquilli contesti storici è di uso comune, tra gli abitanti, adornare gli spazi pubblici della città con un gran numero di piante. A margini di strade e di piazze, a volte sui muretti divisori, altre volte su mensole appoggiate ai muri, si trovano in abbondanza vasi con piante officinali e succulente che creano uno splendido contesto di giardino. L'aloe è presente in larga misura e diverse varietà, sopravvivendo nei vasi senza problemi nonostante per molti mesi non riceva cure (quasi tutte le abitazioni sono seconde case e utilizzate solo in estate). La sua diffusione è sicuramente facilitata dalla semplicissima propagazione per talea (veri e propri cloni che la pianta madre genera attorno al suo fusto principale).
La lavanda è una delle piante aromatiche più conosciute e amate grazie alla sua bella forma a cespuglio, all'affascinate colore viola delle spighe, e soprattutto al profumo inebriante.
Esistono numerose specie e varietà di lavanda, tra le più comuni troviamo:
Lavandula angustifolia: Detta lavanda vera, è la specie più diffusa, con spighe dense e profumate di colore viola. In italia, allo stato spontaneo è presente in montagna nel ponente ligure. Questa è la lavanda più celebre, quella coltivata negli iconici campi di lavanda che attualmente troviamo non solo in Provenza, ma anche in alcune campagne toscane e liguri
Lavandula stoechas: Chiamata lavanda selvatica, stecade o lavanda a spiga, è una specie di lavanda particolarmente apprezzata per la sua bellezza e il suo profumo intenso. Si distingue per le spighe più larghe e colorate, con brattee decorative (a me ricordano le spighe dei cereali). In italia è diffusa nelle regioni tirreniche, l'ho trovata spontanea sulle colline all'isola d'Elba, ai margini di muri a secco in contesto arido, caldo e assolato.
Questa pianta è molto apprezzata in parchi e giardini grazie alla sua versatilità, infatti la possiamo trovare in tutti i contesti, dal più formale al più rustico.
Conosco tre tipi di piante di alloro, che sono tra di loro completamente diversi ma in realtà la stessa pianta.
L'alloro che è quindi presente in giardini, macchie, parchi e boschi, è tuttora un simbolo immancabile di mediterraneità. Nei luoghi dove è presente vanno aggiunti gli orti, dal momento che è una apprezzata pianta aromatica, nonché rimedio tradizionale.
In tal senso, l'uso più originale che se ne fa, è probabilmente nel celebre sapone di Aleppo che tuttora viene fatto mescolando olio di oliva con olio di alloro ottenuto dalla spremitura delle bacche (che un tempo era chiamato laurino). Molti fanno artigianalmente il sapone di Aleppo in casa utilizzando al posto dell'olio delle bacche un oleolito fatto con le foglie di alloro scaldate in altro olio vegetale (l'ho fatto così anche io e sono stato entusiasta del risultato).
«Ha il Lauro in se virtu di produrre il fuoco per se stesso, e vedesene il manifesto effetto se fregando velocemente insieme due verghe di Lauro secco, vi si gitta sopra del solfo polverizato; imperoche subito vi s'accende il fuoco.»
Pietro Andrea MatthioliPersonalmente non ho mai visto questa pianta nel suo ambiente naturale "primitivo" che immagino essere falesie affacciate sul mare e luoghi più aridi e caldi rispetto a quelli che frequento di solito. L'ho trovata tante volte cresciuta su muri nei borghi non solo marinari, qui, nelle fessure tra le pietre, trova un habitat favorevole per sviluppare la radice per poi fare discendere la parte aerea sulla parete. Il cappero come pianta isolata piantata a terra si sviluppa invece come un rigoglioso arbusto con le fronde che si ripiegano su loro stesse. Trovo esteticamente piacevole questa pianta sia nelle belle foglie tonde opposte, sia per la elegante fioritura. E soprattutto evocativa degli ambienti, della tradizione e dei miti mediterranei.
E' facile pensare che sia opera dell'uomo, nella maggior parte dei casi, la originale semina verticale. Naturalmente sono invece gli uccelli a diffondere i suoi piccoli semi che poi attecchiscono tra le pietre e il guano. Il cappero si è diffuso grazie all'uomo al di fuori del suo areale naturale, ad esempio è possibile trovarlo anche sull'Appennino Tosco-Emiliano, su muretti a secco assolati di terrazzamenti. Oppure coltivata su muri di pietra in alcune città del nord Italia.
Matthioli (XVI sec.) ci testimonia già all'epoca l'abbondante presenza dei capperi sulle rovine degli edifici di Roma e nella città di Siena. Tramanda che gli antichi non erano propensi a coltivare questa pianta in quanto infestante, perciò suggerivano di isolarne la coltivazione con fossi e pietre. Tutt'oggi si dibatte sulla opportunità della presenza dei capperi su muri e monumenti antichi di Roma. I sostenitori affermano a ragione che essi fanno parte del paesaggio tradizionale e degli stessi monumenti archeologici. Gli altri, anch'essi ragionevolmente, affermano che potrebbero essere un pericolo per la conservazione degli antichi manufatti.
La domanda è una scusa per parlare dei suoi boccioli che vengono usati in cucina e conservati essiccati, sotto sale, sotto olio o sott'aceto. Il cappero piace per il suo gusto intenso ed aromatico che richiama altre piante mediterranee come agrumi, senape e l'oliva. La piccantezza è proporzionata alla maturazione dei boccioli ed è leggera. Il retrogusto amarognolo si sposa con il salato dovuto al convenzionale metodo di conservazione. Spesso i capperi si abbinano con le olive e con piatti di pesce.Rappresentano tuttavia un ingrediente versatile che insaporisce una grande varietà di piatti, ad esempio: risotti, paste, pizze e focacce, carni bianche, creme di burro o formaggi da mangiare spalmate su crostini.
Tantissime piante aromatiche sono presenti sul nostro territorio, con una distribuzione irregolare che contribuisce a creare le specificità dei luoghi.
Un elenco incompleto comprende:
Nel mio giardino era presente un fico, già da prima della mia presenza e a parte qualche piccola potatura negli ultimi anni non ha mai ricevuto attenzioni. Questo è perciò il resoconto del fico che è cresciuto spontaneamente. Il suo portamento naturale è a semisfera o meglio a bottone dal momento che si sviluppa molto volentieri in larghezza. La chioma, dalla primavera all'autunno è densa di foglie, ha una bella forma curva regolare; nel tempo si è accresciuto progressivamente fino a raggiungere dimensioni ragguardevoli. Queste stesse cose ho osservato in tutte le piante cresciute spontaneamente.
Al di sotto del fico, nonostante l'ombra delle frondi e la pacciamatura invernale delle foglie cadute, tante piante trovano il loro habitat per germinare, sicuramente seminate dagli uccelli che vengono a mangiare i fichi. Nel mio caso, tra le altre, tante piantine di sanguinello che ho usato per realizzare una siepe li vicino.
I suoi frutti li conosciamo tutti, le popolazioni del sud li adorano e li celebrano con fiere e sagre, a partire da quando maturano i primi pregiati fallacciani.
Se abbiamo abbastanza spazio assecondiamo il suo portamento e lasciamolo lavorare per noi. Quest'albero, un gigante della nostra tradizione, ci addolcirà l'estate.
Il legame tra l'ulivo e il paesaggio italiano è talmente stretto che in molti luoghi si può affermare che l'ulivo è il paesaggio. Colli, monti, territori interi sono stati trasformati in funzione della coltivazione dell'ulivo e tuttora questi paesaggi godono del raro privilegio della bellezza e della salubrità. A differenza di quasi tutte le altre, la tecnica agricola dell'ulivo è rimasta simile e fedele a quella tramandata dai nostri antenati. Con tutti i benefici ambientali grazie al minimo dispendio di energia nella conduzione degli uliveti, minimo uso di fitofarmaci, minimi interventi di concimazione, minimo apporto idrico. Per capire tutto questo è sufficiente visitare l'Umbria, immergendovi nella campagna oppure osservandola dall'alto di un poggio. Se sognate l'agricoltura naturale scoprirete una utopia realizzata, un mondo ideale in cui l'intervento dell'uomo è in armonia con la natura mediterranea che fa da cornice (e talvolta viceversa).
L'oliva è un cibo eccezionale, senza pari, delizia, elisir, medicina, balsamo, unguento. Avere a disposizione ancora questo genere di coltivazioni tradizionali è una eccezione da preservare sia dal punto di vista del paesaggio sia da quello alimentare.
Camminando per i sentieri Liguri mi è capitato spesso di vedere Ulivi selvatici crescere sulle colline che un tempo erano coltivate a terrazzamenti. Queste piante vengono chiamate olivastri, fanno parte della stessa specie botanica dell'ulivo, producono olive più modeste e sono anche usate come portainnesto delle varietà da frutto più pregiate. Hanno un aspetto molto più selvatico degli ulivi coltivati, meno regolari e sfilati verso l'alto se si trovano a competere per la luce con altre piante della macchia e generalmente di aspetto più scomposto. Le foglie dell'olivastro sono più piccole, strette e coriacee, con una tonalità più grigio-verde rispetto a quelle dell'ulivo coltivato.
Possiamo dire perciò che l'ulivo è stato selezionato e migliorato dall'uomo per fini agricoli, mentre l'olivastro rappresenta una forma più naturale e meno manipolata della pianta; è una pianta che si adatta bene ai terreni aridi e rocciosi tipici della macchia mediterranea dove cresce in associazione con le altre specie caratteristiche.
«...C’è un grande segreto nel letto ben fatto che io fabbricai...»
(Odissea XXIII, 188)Ho scoperto molti mandorli in un piccolo borgo semi-abbandonato dell'Italia Centrale circondato dal tradizionale paesaggio collinare a uliveti. Erano presenti diverse piante, di diverse età e gestite in modi diversi. Al centro del paese, accanto al rudere del piccolo castello, è presente uno stupendo mandorlo monumentale, centenario, dai frutti particolarmente grandi. In questo luogo umile e dimenticato ecco il gigante, vivo. Al confine del paese altre piante mature (comunque molto più giovani) erano state potate per la massima produzione e avevano una bella forma armoniosa di alberello, di altezza circa 5 metri. Tanti altri giovani mandorli erano cresciuti spontaneamente accanto a vecchie mura, col loro caratteristico portamento naturale sfilato verso l'alto.
Tornai qualche volta in quel paese e raccolsi tante mandorle che poi seminai direttamente in terra nel mio giardino (in pianura padana). Seminare mandorli (e in generale semi di alberi) in terra è una operazione molto semplice e con alte probabilità di successo se ci troviamo in un campo aperto. E' sufficiente liberare una piccola porzione di terra dalle piante infestanti, vangare quanto basta per rimuovere le radici presenti (ad esempio la gramigna), dissodare, e interrare il seme. Vale il principio che i semi vanno interrati tanto quanto la loro dimensione o poco più.
Ora viene la parte più interessante: da bambini ci insegnano che si prende il seme di fagiolo, lo si mette sul cotone o nel terriccio, si bagna e germina. Per la maggior parte delle piante non è affatto così. Il seme ha una "intelligenza innata" chiamata dormienza che fa si che esso germini nel periodo dell'anno che è più propizio, perciò indipendentemente dal momento della semina esso nascerà con ogni probabilità ad inizio primavera, potendo contare della stagione più favorevole.
Le piante nate da seme sul posto (non trapiantate) hanno una radice molto meglio sviluppata, solitamente a partire da un profondo fittone verticale che garantisce stabilità in caso di tempesta e maggiore riserva idrica in caso di siccità prolungata.
Tra le caratteristiche più curiose dei semi, le celebri mandorle, vi è quella che pur essendo uno degli alimenti più grassi e calorici che esistono (circa 600kCal) la loro presenza nelle diete favorisce proprio la riduzione del grasso, in particolare di quello viscerale (ce ne vorrebbero tanti di alimenti così!). Le ricerche effettuate indicano perciò che il consumo moderato di mandorle nella dieta non incide sul peso e riduce virtuosamente il senso di fame se vengono consumate come spuntino tra i pasti principali. Caratteristiche simili sono presenti anche nell'altra frutta secca presente tradizionalmente nella dieta mediterranea: pistacchi, noci e nocciole.
Ho trovato tanti mandorli amari cresciuti alle pendici della rupe della prigione dell'isola d'Elba... quasi a ricordare l'amarezza del luogo. Eppure a me piace molto quel sapore (che è amaro ma completamente diverso dagli altri), forse perchè fa parte della ricetta tipica parmigiana dei buonissimi tortelli di zucca. Le mandorle amare sono velenose e anche mortali in grandi quantità, perciò, per precauzione viene perciò sconsigliato l'uso soprattutto crude. Per il loro sapore, vengono tuttavia usate nelle giusta quantità in liquoreria, in pasticcieria, e anche nella ricetta dell'orzata! Nella medicina antica erano considerate un rimedio, così come in epoca moderna, importanti scienziati gli attribuirono proprietà anti-cancro successivamente smentite.
« E' il Mandorlo albero assai grande, con grosso tronco, ma rare volte diritto, e vestito di ruvida corteccia, e con non molte radici: imperoche per lo più non ne hà se non una radice, ma grande, robusta, e profonda in terra. Produce foglie del tutto simili al Persico, à cui è ancora simile tutta la pianta; imperochè ancora i fiori sono ne i Mandorli come di Persico dal colore in poi; percioche in questo sono incarnati in quello sono bianchi. Fioriscono i Mandorli nel principio della primavera, e fanno frutto simile à un cuore, cioè le Mandorle, le quali, quando sono tenere, si mangiano in Toscana, e massimamente dalle donne gravide; imperoche sono appetitose, e dilettevoli. Vestonsi le Mandorle di doppia corteccia, come le Noci. Raccolgonsi il mese di Agosto ner fine della state, nel tempo, che la prima scorza si rompe. Temono il freddo le piante, ne allignano ne i luoghi Settentrionali; il perche nascono copiose in Puglia, e in Sicilia, donde si portano Mandorle à noi.»
P. A. MatthioliDelle Mandorle. Cap. 140.
«La decottione della radice del Mandorlo amaro pesta leva via le macchie dalla faccia.
Il medesimo fanno le sue mandorle applicate in forma di linimento.
Messe nelle parti secrete delle donne, provocano i mestrui. Fattone impiastro in sù la fronte,
e parimenti in sù le tempie con olio Rosato, ò vero aceto, levano il dolore dal capo.
Vagliono unte con vino all'epinitide, e alle ulcere corrosive, e putride, e con Mele,
al morso dei i cani. Mangiate levano i dolori, mollificano il corpo, e fanno dormire,
e provocano l'orina. Tolte con Amido, e Menta, ristagnano lo sputo del sangue, Beùte in acqua,
ò vero acconcie in modo di lettovario con ragia di Terebintho, vagliono alle malattie delle reni,
all'infiammagioni del polmone. Giovano bevute con vino passo alle renelle, al male della pietra,
e al retinimento dell'orina. Mangiate ala quantità d'una Nocciuola, composte in lettovario
fatto di latte, e di mele, vagliono à i fegatosi, alla tosse, e alla colica. Cinque,
ò vero, sei Mandorle amare mangiate avanti pasto non lasciano imbriacare. Ammazzano le volpi,
adescando loro con il cibo con esse. La Gomma dell'albero scalda, e costringe. Ristagna, bevuta,
gli sputi del sangue. Liquefatta in aceto, sana le impetigini, che sono tra carne, e pelle:
e bevuta in vino inacquato, conferisce alla tosse vecchia. Bevesi utilmente in vino passo
per rompere la pietra.
Le Mandorle dolci son buone per mangiare, ma non sono manco efficaci che l'amare
per le medicine; nondimeno disseccano ancor esse, e provocano l'orina. Le verdi
con tutta la corteccia, che le cuopre, mangiate ne i cibi giovano all'humidità dello
stomaco.»
Ancora prima del cristianesimo, gli antichi Egizi, Greci, Fenici, Etruschi consideravano la vite e il vino elementi sacri, associandoli a divinità come Dioniso e Bacco e integrandoli nei riti e nelle celebrazioni religiose. I Romani furono i principali promotori della viticoltura, diffondendola nelle province imperiali e in tutto il mediterraneo.
In passato le nostre città erano molto meno edificate lasciando ampi spazi all'interno delle mura per la coltivazione di orti, piante da frutto e della vite che forniva una materia prima essenziale per l'alimentazione. Col mosto d'uva, infatti, oltre al vino, si ricavava l'altrettanto importante aceto e il mosto cotto che veniva usato come dolcificante. Il mosto fresco si usava insieme alla farina per preparare i golosi sughi. L'uva fatta disidratare nelle soffitte diventava uva passa che era usata per cucinare o usata per fare il vino passito.
La vite è una pianta lianosa rampicante che si adatta ad essere coltivata in tanti modi. Nella realizzazione di un giardino possiamo perciò usare queste caratteristiche per conferirgli l'aspetto che desideriamo, magari riproducendo una delle forme tradizionali con cui essa è coltivata.
Il melograno è una pianta originaria dell'Asia minore che già da tempi antichi è stata diffusa in tutti i paesi del Mediterraneo sia per le sue qualità alimentari che per quelle medicinali. E' presente in tantissimi giardini con l'aspetto di un denso arbusto o di alberello. Apprezzato visivamente per la chioma densa di un colore verde brillante e per la bella fioritura rosso-granata estiva. Sono piante non tanto esigenti in termini di suolo e poco suscettibili alle malattie. Anni fa ho piantato alcune piante di melograno, alcune delle quali ho fatto nascere da seme direttamente sul terreno. Ho notato che le giovani piante hanno sofferto il clima primaverile altalenante (ondate di calore e poi gelate tardive); pur essendo seccata la parte aerea, tuttavia, sono sopravvissute e si sono vigorosamente riprese negli anni successivi.
«E' grandissima l'amicizia fra'l Melagrano e'l Mirto e imperò si inseriscono agevolmente l'uno nell'altro, diventando poscia assai più fertili, che non sono per loro medesimi .»
P.A. MatthioliIl celebre medico senese, nei suoi Discorsi ci dice quindi che ai tempi suoi aveva visto coltivare consociati Mirto e Melograno con ottimi risultati anche in termini di produttività delle piante. Qualcuno vuole riprovare ai giorni nostri?
Trovo molto affascinante il frutto di questa pianta, la geometrie elementare sferica e liscia esterna, nasconde una struttura interna complessa, difficile da capire, che racchiude un grandissimo numero di arilli i piccoli acini rossi e succosi che si mangiano (da 600 a 800 ma anche di più). Le caratteristiche del frutto cambiano in funzione della varietà, sia come dimensione, che come colore della buccia (dal rosso al giallo). Inoltre varia notevolmente il sapore che solitamente si descrive nelle tre caratteristiche: dolcezza, acidità, astringenza. In generale la melagrana viene consumata fresca oppure sotto forma di succo, tuttavia in India gli arilli vengono essiccati per essere conservati ed utilizzati come una spezia.
La pianta di melograno, in tutte le sue parti, dalla radice, alla corteccia, al fiore, al frutto, è stata usata a scopo medicinale nella tradizione indiana ayurvedica oltre che quella occidentale. Le recenti indagini scientifiche ne hanno confermato la ragionevolezza nell'uso sostenendo che la presenza abbondantissima di polifenoli potrebbe essere utile a prevenire malattie cardiovascolari, degenerazione cognitiva, cancro, invecchiamento della pelle, obesità, etc.
Questa pianta è presente ovunque nel bacino del Mediterraneo in quanto coltivata da tempi antichissimi e successivamente naturalizzata nei luoghi congeniali: ambienti umidi, fossi, canali, margini di coltivazioni. L'ho osservata spesso anche dal mare, su scarpate esposte verso di esso, in corrispondenza di canaloni probabilmente più umidi, arrivando quasi alla riva. (forse in corrispondenza di scarichi di abitazioni soprastanti). La canna domestica è un'erba perenne estremamente vigorosa, con fusti cavi che crescono verticali fino a 6m in altezza, coniugando leggerezza, rigidità e una certa flessibilità.
La canna domestica è stata coltivata per secoli per le sue caratteristiche uniche di leggerezza, resistenza, linearità, facile lavorabilità. Tra gli esempi degli usi tradizionali della canna domestica vi sono:
(nelle costruzioni)
(in agricoltura)
(nell'artigianato)
L'nfestazione di canne spesso si accompagna a presenza eccessiva di sostanze nutrienti come composti di fosforo e azoto tipici di scarichi mal-depurati. La loro presenza è assolutamente virtuosa svolgendo un ruolo di naturale ed efficace depurazione. Questa caratteristica è sfruttata anche nei così detti impianti di fito-depurazione che solitamente usano la canna di palude, considerata la più efficace in questo senso.
Le canne domestiche fanno da cornice a uno dei luoghi più straordinari della Toscana: le cascate del mulino di Saturnia. Tutto il percorso del fiume Gorello, dalle sorgenti termali in poi, è accompagnato da questa pianta che cresce rigogliosissima in questo contesto.
Questa pianta sembra alludere nel nome all'isola mediterranea di Cipro luogo da cui avrebbe avuto diffusione a partire da tempi molto remoti in tutto il bacino del mediterraneo. La sua presenza in Italia è antichissima, introdotto ancora prima della civiltà Romana, è stato propagato e coltivato largamente in passato per le qualità del suo legno resinoso che si adattavano molto bene alla costruzione di imbarcazioni.
Il cipresso fa parte della città di Roma, insieme al pino domestico, è strettamente integrato nel paesaggio cittadino costellato da parchi archeologici e antiche vestigia. Altrettanto stretto è il suo legame col paesaggio toscano, tanto da diventandone emblema nella iconografia di luoghi che fanno parte del mito di questa terra, come la val d'Orcia. Ma anche nella città di Verona, al lago di Garda, etc... Il fatto è che nessuna pianta mediterranea è più iconica del cipresso. Grazie alle sue proporzioni slanciate, alla sua forma compatta, piena e scultorea, al suo colore inalterato nelle 4 stagioni, esso è una simbolo che ha acquisito il significato del contesto storico, naturale, archeologico in cui esso è diffuso.
Il cipresso come pianta isolata può ricordare lo gnomone di una meridiana; più spesso, gruppi e file di cipressi evocano creature animate, coppie, famiglie, processioni, come descritto dal Carducci nella celebre poesia "Davanti San Guido". Questa pianta è da sempre legate al mistero della vita e al senso del sacro sia per l'accenato aspetto iconico che per le caratteristiche di inalterabilità dell'aspetto e del legno.
Le querce più caratteristiche della macchia mediterranea sono il leccio e la roverella. Spesso si trovano entrambe in boschi, pinete, siepi, rive, scarpate, macchie in zone costiere e in generale in tutta l'Italia centrale.
Il leccio (Quercus ilex L.) è un albero sempreverde dallo sviluppo molto lento dal portamento ad albero o in alcuni luoghi a grande arbusto. Sul lago di Garda ho visto questo secondo tipo di forma, il leccio sulle colline di Manerba del Garda forma arbusti larghi e non tanto alti, come piccoli e densi boschetti. Il portamento arboreo è il più comune, lo si ritrova comunemente nei boschi. Le sue caratteristiche lo rendono idoneo anche a piantumazioni e alberature nei parchi e nei viali delle città. Il leccio nei giardini può essere scelto proprio per le sue caratteristiche di lentezza e longevità. Ha inoltre eleganti foglie lancelate che diventano simili a quelle dell'agrifoglio nei rami più bassi. Coriacee, di colore verde scuro, lucide nella parte superiore. Può essere utilizzato per formare una siepe alberata sempreverde, anche in consociazione con le altre tipiche piante da macchia. È tra le piante più rappresentative che si possono utilizzare per ricreare una zona di bosco mediterraneo.
La roverella (Quercus pubescens Willd.) è tra le nostre querce forse la più piccola e per questo la più versatile. Trova il suo spazio ai margini dei boschi, nelle siepi e nelle rive con un portamento a volte scomposto e tormentoso alla ricerca della giusta insolazione. Ha foglie frastagliate dalla tipica sagoma della specie che, seppur seccando in autunno, spesso rimangono attaccate fino alla successiva primavera. Le caratteristiche di questa pianta, tra cui la rusticità, la persistenza della foglia, la robustezza del legno, la rendono adatta sia alla realizzazione di siepi alberate o macchie, sia all'uso come pianta isolata.
In Casentino e anche nel vicino Appennino Emiliano ho visto piante di vischio cresciute sui rami delle roverelle. Il vischio è una pianta semiparassita che assume una caratteristica forma sferica il cui centro è il punto dell'albero ospite in cui ha attecchito il seme.
Questa "simbiosi" è all'origine di antichi miti e riti per le coppie di fidanzati. In analogia al destino indissolubile delle due piante così era propiziato il matrimonio tra uomo e donna.
Il cisto è un arbusto rustico, umile, dalle foglie verdi chiare e dalla bella fioritura primaverile. Non si fa notare viste le sue modeste dimensioni tranne nel periodo dell'antesi, quando i suoi fiori fucsia a cinque petali (che a me ricordano le rose selvatiche) evocano una atmosfera antica con la loro non sfacciata bellezza. Anche se l'ho visto anche in altri contesti, per me il cisto accompagna i margini di sassosi e aridi sentieri delle montagne umbre. Oppure in quella zona, altrettanto arida ma sabbiosa, tra le dune marittime e i boschi retrostanti in Versilia.
Il cisto è una pianta perfetta se abbiamo a disposizione un luogo ben drenato, caldo e assolato nel quale vogliamo realizzare un giardino secco.
Esiste una originale teoria secondo cui il monte Conero, vicino ad Ancona, deve il suo nome al Corbezzolo che in greco è Kòmaros. In effetti ci sono davvero tante piante di corbezzolo da quelle parti, ma, a guardare bene, questo albero è diffusissimo nelle macchie mediterranee, al pari dell'alloro e del leccio. Nei boschi mediterranei si presenta solitamente come un alberello con foglie sempreverdi verdi scure lanceolate dal margine seghettato, con fiori che sono campanule bianche raggruppate e i caratteristici frutti globosi dal colore che va dal giallo al rosso. Spesso sulla pianta sono presenti contemporaneamente foglie, fiori e frutti conferendo quindi un aspetto variopinto.
In alcune parti d'Italia si usa questo nome che riassume le sue caratteristiche. La forma sferica, il colore rosso e la presenza del picciolo creano una analogia dei suoi frutti (le corbezzole) con quelli del ciliegio (ma se le somiglianze finiscono qui). Oltre che alle pendici del Conero, ho visto spesso il corbezzolo nei boschi litoranei sulla costa Tirrenica, ma anche in Umbria e Toscana nell'entroterra, talvolta nei boschi, talvolta nei pressi delle mura delle città, forse originariamente coltivato in questi luoghi ma anche usato di recente come piantumazione urbana.
Il corbezzolo è presente in gran parte dell'Italia mediterranea, nei paesaggi marittimi, nelle macchie dell'entroterra, nei borghi storici dove lo si trova a contorno di zone archeologiche. Richiama la tradizione popolare del centro Italia dove il frutto, in passato, era amato, ricercato e consumato. Nei giardini lo si può inserire per ricreare l'atmosfera profumata dei boschi marittimi, ma anche per evocare la genuina semplicità della vita delle contrade.
Sono tre le specie di Pini tipiche dell'ambiente mediterraneo, diffuse anche grazie alle popolazioni antiche talvolta nelle caratteristiche pinete litoranee.
Il pino da pinoli (Pinus pinea) o pino domestico è sicuramente il più noto, sia per i semi che sono un alimento pregiato, che per il portamento. La sua forma a candelabro lo rende una vera e propria icona mediterranea; le sue sagome caratterizzano i paesaggi di pianura dove è presente, come ad esempio alcuni tratti di costa Livornese.
Il pino marittimo (Pinus pinaster) , a volte viene confuso col precedente dal momento che, come suggerisce il nome si trova preferibilmente lungo le coste. Ha semi completamente diversi: più piccoli senza guscio ma alati!. Il portamento presenta spesso il fusto centrale verticale e rettilineo e rami piccoli regolari radiali che si dipartono con leggera curvatura verso l'altro. All'interno delle pinete litoranee lo sviluppo verticale è anche accentuato perché le piante sfilano verso l'altro facendo a gara per trovare la luce.
Il pino d'Aleppo (Pinus halapensis Mill) è un po' più piccolo dei precedenti, e, nonostante il nome esotico è anch'esso autoctono della penisola italiana. Adattabile a diversi tipi di terreno, lo si trova nelle scarpate al mare, e a volte nelle colline dell'entroterra su suoli poveri, spesso rocciosi e aridi. Ha una forma più scomposta e ampiamente variabile in funzione della collocazione. Non l'ho mai visto formare pinete, ma piuttosto in contesto di luminoso bosco misto.
La regolarità del fusto e il legno resinoso ha fatto si che venissero coltivato in antichità per la realizzazione delle navi oppure ampiamente in edilizia, dai pali, alle travi, alle tavole (tuttora usatissimo). La resina dei pini veniva raccolta per essere usata in svariati modi, dalla produzione di incensi e profumi, alla sintesi delle trementina, all'uso nella medicina popolare. L'uso alimentare dei pinoli non ha bisogno di presentazioni, fa parte di piatti tra i più amati d'Italia, dai primi piatti (pesto) ai dolci (strudel).
La resina dei pini ha un profumo fantastico e grazie al calore estivo a volte si diffonde nell'aria mischiandosi agli altri profumi del bosco. Nei boschi del Conero, ad esempio, io sento un intenso profumo di miele. Un momento magico è la primavera, quando il polline dei pini si diffonde dai fiori maschi nell'aria. Piccola nuvole, come incenso dorato scendono dalle chiome per ricadere a terra lentamente e scomparendo mentre si espandono. Se abbiamo il privilegio di trovarci in un luogo abbastanza silenzioso, sarà possibile sentire il rumore improvviso della pigna che si apre per far cadere il seme. E infine... è celebre l'incontro del poeta con Ermione nel pineto in una giornata di pioggia.
L'asparago selvatico è una pianta comunissima negli uliveti, nelle macchie e nelle pinete del centro Italia, mentre è quasi assente dall'appennino emiliano in su fatta eccezione per le zone costiere.
In Romagna è presente anche l'asparago di pineta mentre, in generale, il più diffuso è l'asparago di bosco o pungente. Si tratta di un modesto arbusto, la cui parte aerea adulta è chiamata volgarmente asparagina. E' spinosa, ha vita breve e ogni anno si rinnova grazie ai polloni primaverili, tecnicamente detti turioni, che, appena spuntati sono la parte commestibile, quelli da tutti chiamati asparagi. Se non raccolti, si aprono trasformandosi in asparagina. Rispetto a quello coltivato, gli asparagi selvatici, sono molto più sottili e più saporiti (molto piacevolmente amari) Anche l'asparago officinale si trova a volte allo stato selvatico, anche in luoghi dove non te l'aspetti, mi è capitato di trovarlo ai margini tra la pineta e le dune in Romagna, oppure in una fascia fluviale con un terreno apparentemente molto povero, all'ombra delle Robinie.
Ho visto in Toscana piante di asparagi di bosco armoniosamente collocate in una grande aiuola di giardino secco insieme alle altre tipiche piante della costa mediterranea. Anche se si tratta di un piccolo arbusto, questa pianta evoca paesaggi, sapori, tradizioni, atmosfere di campagna e di ambienti naturali tipici dell'Italia mediterranea.
Qui da me siamo soliti pensare al castagno come una pianta di montagna, perché lo troviamo nei boschi dell'alto Appennino, tuttavia questo grande albero è a tutti gli effetti tipico della macchia mediterranea. È un albero longevo e maestoso, che può raggiungere i 30 metri di altezza e vivere per secoli. Predilige terreni freschi e ben drenati. In Italia è diffuso oltre che nelle zone montane appenniniche anche nella fascia collinare fino al mare. Non mi sono meravigliato nel trovarlo all'Isola d'Elba nei boschi che circondano il monte Capanne. Mi sono invece stupito nel vedere tante di queste piante dentro al paese di Lerici, nella parte alta, a poche centinaia di metri dal mare. Il castagno è stato diffuso dall'uomo ovunque possibile, al pari dell'ulivo o della vite era una pianta essenziale fornendo alimento pregiato e legna altrettanto pregiata. In un bosco nei colli bolognesi mi è capitato di vedere un castagno potato in modo simile a un salice per la produzione di pali. Non meno importante: i boschi di castagno sono fondamentali per la produzione del mio miele preferito.
Uno degli usi più iconici del legno di castagno a Venezia è per le bricole. Le bricole sono pali di legno conficcati nel fondale della laguna che segnano i canali e le vie navigabili. Sono realizzati in castagno perché questo legno è resistente all'acqua salata e ai molluschi che potrebbero danneggiarli. Gran parte degli edifici di Venezia poggiano su pali di castagno che ne costituiscono le fondamenta.
Il castagno si fa notare in estate con la sua inconfondibile fioritura bianca: è una pianta che dove ci sono le condizioni climatiche e del terreno giuste e abbastanza spazio a disposizione ha caratteristiche perfette, sia estetiche, sia di longevità, sia di resistenza.
Il legno di castagno è altresì usatissimo all'esterno a vari scopi, per la sua resistenza, durezza e immarcescibilità. E' usato negli arredi, per la realizzazione di spalliere, pergole e gazebi, per recinzioni, staccionate, parapetti, ma anche per delimitare bordure, aiuole o bancali di orto rialzati. La sua robustezza lo rende di uso adatto per ponticelli, vialetti rialzati, pavimentazioni.
L'edera è presente nel sottobosco di tutti i boschi Italiani. Questo dimostra il suo ruolo ecologico utile e fondamentale: completamente travisato dal luogo comune dove attacca muore. Semmai dove attacca cura, dal momento che le piante malate la richiamano l'edera; personalmente sono convinto che essa gli prolunghi la vita, nel reciproco interesse. In antichità non a caso era usata come metafora dell'unione matrimoniale dal momento che il destino della pianta tutore e quello dell'edera sono reciprocamente legati.
L'edera non è solo una pianta rampicante, spesso è tappezzante a terra o su pareti rocciose; si trova molto a suo agio anche con portamento ricadente. Per queste caratteristiche la si trova spesso nei giardini a vari scopi.
Per coprire muri e recinzioni. L'edera è una rampicante vigorosa che può crescere rapidamente per coprire grandi superfici. Questo la rende ideale per coprire muri brutti o recinzioni. L'edera può anche essere utilizzata per creare schermi verdi per la privacy. Per creare pergole e archi. I fusti flessibili dell'edera possono essere utilizzati per creare pergole e archi viventi. Questi possono fornire ombra o creare elementi iconici o scultorei. Una pacciamatura viva. L'edera è una buona scelta per coprire il terreno in aree ombreggiate. Può aiutare a sopprimere le erbacce e mantenere il terreno umido. E' mia convinzione che questa pianta sia utile anche a migliorare la salubrità del terreno.
Questa pianta è considerata velenosa per uso interno e le sue foglie, anche per contatto, sono leggermente irritanti, perciò il suo attuale uso è quello esterno come rubefacente. In passato il suo modo di uso si ispirava a quanto avviene in natura: quindi ai suoi fusti che si avviluppano ad elica attorno all'albero. Allo stesso modo con la pianta si avvolgevano le parti malate o doloranti. Si può ricordare ad esempio il quadro del Caravaggio del Bacco malato che è cinto in fronte da una corona di Edera, (utile, in questo caso, per curare il mal di testa da vino). Molto più di recente, nel film Conan il barbaro (1982), il protagonista in fin di vita è completamente avvolto nell'edera dal mago Akiro che riesce così a guarirlo.
L'erica arborea, conosciuta anche come "erica a cespuglio", è una pianta sempreverde tipica del paesaggio italiano. E' molto diffusa nelle regioni del Mediterraneo grazie alla sua adattabilità a terreni poveri e condizioni climatiche avverse e svolge un utile ruolo ecologico, contribuendo alla stabilità dei suoli e alla biodiversità. L'ho incontrata spessissimo durante le passeggiate, lungo sentieri o rive sassose e assolate, sia nelle macchie costiere che nell'entroterra.
Un aspetto distintivo è infatti la sua capacità di crescere in suoli acidi e poveri di nutrienti, rendendola una pianta pioniera in aree degradate. Le sue radici profonde e robuste aiutano a prevenire l'erosione del suolo, un problema comune nelle regioni mediterranee (ad esempio in Liguria) caratterizzate da pendenze ripide e piogge irregolari e talvolta vere e proprie alluvioni.
L'erica arborea presenta micorrize, simbiosi tra funghi e radici che migliorano l'assorbimento di nutrienti e acqua da parte delle piante. E' anche importante per la fauna del Mediterraneo. I suoi fiori, che sbocciano tra marzo e maggio, forniscono una preziosa fonte di nettare per insetti impollinatori come api e farfalle. Inoltre, le dense chiome di erica offrono rifugio e siti di nidificazione per numerosi piccoli uccelli e mammiferi, contribuendo a mantenere la biodiversità locale.
Dal punto di vista estetico, questa pianta aggiunge un tocco di bellezza selvaggia al paesaggio mediterraneo. Le sue infiorescenze bianche o rosate creano spettacolari macchie di colore in primavera, mentre il fogliame verde scuro persiste tutto l'anno, mantenendo il paesaggio vivace anche nei mesi più secchi. La presenza dell'erica arborea è particolarmente apprezzata nei giardini naturali e nelle riserve naturali, dove viene utilizzata per il recupero e la conservazione degli habitat mediterranei.
Il suo legno, duro e resistente, viene utilizzato per la produzione di pipe e piccoli oggetti artigianali. I suoi fiori bottinati dalle api in primavera permettono la produzione di un miele uniflorare noto per il suo gusto particolare e le sue decantate proprietà.
La fillirea o ilatro è una pianta arbustiva appartenente alla famiglia delle Oleaceae, la stessa di'ulivo e ligustro. Originaria del bacino del Mediterraneo, la fillirea si distingue per la adattabilità ai climi caldi e secchi e per la capacità di prosperare in suoli poveri e rocciosi. E' apprezzata nei giardini per la sua rusticità e il suo aspetto ornamentale.
Una delle principali qualità della fillirea è la sua straordinaria resistenza alle condizioni climatiche estreme tipiche del Mediterraneo. Questa pianta è in grado di sopportare lunghi periodi di siccità grazie alle sue radici profonde che le permettono di accedere a riserve idriche sotterranee. Inoltre, la fillirea sopporta i venti salmastri, infatti la troviamo spesso anche nelle scarpate che si affacciano sul mare. La sua capacità di crescere su terreni poveri e calcarei la rende adatta alle zone collinari calde nell'entroterra.
Le sue foglie sempreverdi, piccole e coriacee, variano dal verde intenso al grigio-argentato, creando un contrasto cromatico interessante con altre piante mediterranee. In primavera, la fillirea produce piccoli fiori bianchi o verdastri, seguiti da bacche nere lucide che persistono fino all'inverno, aggiungendo un elemento di interesse visivo durante tutto l'anno. È perfetta per creare barriere verdi, siepi e bordure, grazie alla sua crescita densa e alla sua resistenza alla potatura. Può essere piantata come esemplare isolato o in gruppi, per aggiungere struttura e colore al paesaggio.
La cura della fillirea è relativamente semplice. Questa pianta non richiede annaffiature una volta attecchita e beneficia di una potatura leggera per mantenere la forma desiderata. Non è particolarmente soggetta a malattie o parassiti, rendendola una scelta senza problemi per i giardinieri. Per una crescita ottimale, è consigliabile piantare la fillirea in un luogo soleggiato o leggermente ombreggiato, con un buon drenaggio del suolo.
«La Phillirea è un'albero della grandezza del Ligustro, e produce frondi anch'essa simili a quelle dell'Olivo, benche più larghe, e più nere. Fà il frutto simile al Lentisco, nero, dolcigno, e grappoloso. Nasce in luoghi aspri.La fronde sono costrettive, e così utili, come quelle dell'Olivo salvatico, ove sia bisogno di costringere. Vagliono, masticate, alle ulcere della bocca, ò vero lavandosene con la loro decottione. Provocano, bevute, l'orina, e parimente i mestrui.»
Dioscoride (trad. Matthioli)Queste due piante sono molto simili nei loro caratteri (foglie, fiori frutti etc), c'è comunque un modo semplice per riconoscerle, cioè guardando la disposizione delle foglie. Fillirea ha sempre le foglie più coriacee e con fillotassi opposta. Alaterno, come dice il nome stesso ha invece una disposizione alterna e irregolare delle foglie.
La disposizione delle foglie sul fusto delle piante prende il nome di fillotassi, un carattere utile per l’identificazione delle specie. Se ad ogni nodo si inserisce una singola foglia si ha fillotassi alternata, se vi si inseriscono due foglie la fillotassi è opposta, se vi si inseriscono più di due foglie è verticillata. Il tipo più comune di fillotassi è quello elicoidale (o a spirale), caratterizzato da una sola foglia per ogni nodo e con foglie inserite a spirale intorno al fusto.
A parte rarissime eccezioni l'angolo della spirale è il così detto angolo aureo: lo stesso che determina il disegno del fiore del girasole, o la disposizione delle foglie dell'aloe vera. L'angolo aureo si determina con le stesse regole della sezione aurea e misura 137,51°. E' utilizzato dalle piante infinite volte nella disposizione delle gemme intorno ai rami da cui si dipartono foglie, fiori frutti o altri ramoscelli. Questo angolo è quello che rende perfetta la forma del cavolo romanesco o la disposizione dei petali nelle rose.
Questo cespuglio, in compagnia del lentisco e della euforbia arborea fa da contorno al grande "sasso" su cui spesso mi fermo nel parco di Montemarcello (Liguria di Levante). Questo blocco di pietra è incorporato in una ripida scarpata esposta verso il mare interessata da recenti frane. Le condizioni sono abbastanza estreme: terreno povero, sassoso, continuamente dilavato, temperature torride in estate (è esposto a Sud a pieno sole), venti salmastri provenienti dal mare. E' proprio in ambienti così, però, che queste piante qui danno il meglio di se, come dimostra la l'abbondante fioritura e fruttificazione dell'Alaterno.
Le piante di questa famiglia botanica (Rhamnus) sono tradizionalmente utilizzate per le loro proprietà astringenti, diuretiche e soprattutto lassative. Dalle bacche si otteneva un colorante mentre il legno duro e compatto era utile sia per lavori di intarsio che per produrre carbone di buona qualità.
Tradizionalmente questa pianta era di uso comune per realizzare siepi e zone verdi nei giardini annessi alle ville nobiliari in tutta Italia. Questa pianta coltivata ha le stesse caratteristiche di rusticità di quanto avviene allo stato naturale, si adatta a qualsiasi tipo di suolo, compreso quelli salmastri, ha modestissime esigenze idriche e di nutrienti, resiste bene a calore, siccità. Può avere invece difficolta in caso di freddo intenso in particolare se in concomitanza di ristagno idrico nel suolo.
Per favorire un migliore accestimento dei cespugli si possono effettuare delle cimature nella fase vegetativa, favorendo così l'emissione di getti laterali avventizi. Se innaffiata e concimata cresce molto velocemente. Non ha parassiti specifici, ne soffre di malattie fungine, di conseguenza non necessita di trattamenti fitosanitari. Sopporta bene le potature che possono essere effettuate sempre ad eccezione dei periodi più freddi (gelo). (Informazioni da vivaio forestale Vita Verde, Galliera BO)
Il pungitopo è un arbusto sempreverde tipico del paesaggio mediterraneo. L'ho visto tante volte adattato in situazioni anche molto diverse: nella macchia costiera ligure, nei boschi di carpino che si affacciano sul lago di Garda, nei boschi caldi dell'appennino Emiliano, nelle leccete in Italia centrale. Il luogo dove mi ha impressionato di più la sua presenza è sui "gradoni" della piramide di Piediluco. Quella montagna sagomata nell'antichità che si trova davanti all'omonimo lago umbro è "ricoperta" di pungitopo nel sottobosco.
Questa pianta è veramente inconfondibile, le sue "foglie" spinose sono in realtà ingrossamenti delle estremità dei rami; è per questo che le bacche sembrano nascere dal centro di esse (che non sono foglie ma rametti che presentano una gemma al centro). Le bacche sono belle palline di un colore rosso che, insieme al verde della pianta, sembra uscito da una cartolina natalizia.
In modo analogo agli asparagi, nuovi fusti nascono direttamente dalle radici, in primavera, sottoforma di turioni che si sviluppano aprendosi. In alcuni luoghi questi germogli sono molto ricercati in primavera, per il loro sapore amaro particolarmente amato dagli estimatori (si mangiano cotti spesso nei risotti). Io trovo che abbiano anche un retrogusto di liquirizia tuttavia... nonostante io apprezzi questo genere di sapori amari, continuo a preferire gli asparagi.
Tra gli usi popolari di questa pianta vi è veramente, come dice il nome, quello di proteggere da topi e roditori. Per fare questo si collocava la pianta recisa tutta attorno ai cibi da proteggere nella dispensa. Forse meno noto il fatto che venisse piantato per delimitare gli orti e creare una barriera vivente contro possibili indesiderati "visitatori"; ne dà testimonianza in epoca romana imperiale Columella nei suoi libri che parlano di agricoltura dove egli descrive la ottimale realizzazione di un orto.
Il fiore del narciso affascina con la sua forma particolare e i suoi colori luminosi che richiamano il sole. Per me è motivo di stupore trovarlo fiorito in primavera, dove non te lo aspetti, come negli uliveti, o in una fascia fluviale rinaturalizzata. A volte presente in larghissima quantità, come ho visto sui pascoli del monte Subasio (Narciso dei poeti). Altre volte presenza puntiforme lungo sentieri affacciati sul mar Ligure (Narciso tazzetta ).
Il nome di questa specie è legato al mito di Narciso, un semidio nato dall'unione tra una ninfa e il dio delle acque la cui bellezza straordinaria sarà anche la causa della sua rovina. La pianta del narciso, in antichità rappresentava probabilmente questa ambivalenza, essendo di bellezza senza pari il fiore ma assolutamente indigesta se mangiata.
«..La radice cotta tanto mangiata quanto bevuta fa vomitare. Giova alle cotture del fuoco, applicatavi pesta con un poco di mele: messa in su i nervi tagliati, gli consolida. Giova impiastrata parimenti con Mele alle dislogagioni delle cavicchie de' piedi e a i dolori vecchi delle giunture. Spegne con Aceto, e seme d'Ortica le macole della faccia e l'utiligini...»
Dioscoride (trad. Matthioli)Essendo allo stato spontaneo diffuso in ambiente mediterraneo, la sua coltivazione nei giardini sarà facile rispettando quelle che sono le sue caratteristiche: in una posizione soleggiata o parzialmente soleggiata; collocati su un terreno neutro leggero e ben drenato per favorire lo sviluppo dei bulbi. Se necessario si usa compost e sabbia per migliorare il terreno esistente. Si tratta di una pianta perenne che negli anni tenderà naturalmente ad infittirsi ed espandersi.
Avevo sempre considerato il ciclamino una pianta adatta a climi freddi e umidi e invece le più belle fioriture di ciclamino le ho viste nell'Italia centrale, nelle macchie sulle colline umbre e... al margine del sentiero sabbioso che porta al mare attraverso il bosco dell'oasi di Bolgheri.
Questa piccola pianta è amatissima, affascinando coloro che si soffermano ad osservane i particolari. I fiori del ciclamino napoletano sono caratterizzati da una forma tipica con petali che si ripiegano all'indietro. I petali possono essere di vari colori, principalmente rosa, ma esistono anche varietà bianche. Sono piccoli, al massimo di 2-3 cm di lunghezza. Le foglie del ciclamino napoletano sono di forma cuoriforme o reniforme (a forma di rene), con bordi dentellati. Sono molto particolari: presentano una colorazione verde scura con variegature argentate o marmorizzate. Sono persistenti durante l'inverno e tendono a scomparire durante l'estate, quando la pianta entra in dormienza.
Il ciclamino napoletano è una pianta rustica, capace di adattarsi bene a diverse condizioni climatiche e di suolo, rendendola una scelta ideale per zone di giardino ombreggiate e boscose. E' una pianta perenne che si propaga a partire dai rizomi, il suo terreno ideale è sciolto e ben drenato, anche sabbioso per favorire lo sviluppo e l'espansione delle radici. Per evitare marciumi e parassiti, il terreno è utile che sia ben drenato e vanno evitate situazioni di umidità eccessiva (cosa che può accadere facilmente vista la collocazione ombreggiata).
In antichità era utilizzata la radice di ciclamino, ad essa erano attribuiti molte proprietà nella medicina tradizionale, da rimedio contro i veleni, a sostanza abortiva, a purgante, etc. ma non solo.
«...Dicono alcuni che s'adopera a gli incanti amorosi, pesta, e formata in pastelli. Nasce il Ciclamino in luoghi, opachi, e ombrosi, e massimamente sotto à gli alberi.»
Dioscoride (trad. Matthioli)Questo episodio è accaduto durante i miei studi universitari (facoltà di Architettura a Firenze). Avevo preparato l'esame di Geografia con Margherita, la compagna di corso con la quale ci si recava diligentemente a fare foto nelle colline tra Fiesole e Prato (monte Morello e la Calvana). Era considerato un esame poco importante inoltre all'epoca avevo accantonato l'interesse per questi argomenti, perciò non frequentai le lezioni e studiai... a dir tanto superficialmente.
Il professore era preparato, molto abbronzato, appassionato della sua materia e profondamente (e giustamente) innamorato della sua terra, la Toscana. Qualche anno più tardi ebbe anche un meritato momento di celebrità nella politica italiana.
All'esame piacquero le foto ma poi si arrivò alla fatidica domanda:
"Quale albero è il simbolo della Toscana?"
La mia prima risposta fu "l'ulivo". Per me che venivo dalla pianura padana le colline coltivate ad ulivo creavano un paesaggio così diverso da marcare il confine tra Nord e Centro Italia. Non era la risposta esatta. Allora dissi "il cipresso", quale immagine è più iconica dei celebri cipressi che serpeggiano sulle colline Senesi? Ma non andava bene neanche questa.
Qui finiva la mia conoscenza sulla flora Toscana, perciò mi arrabattai inutilmente elencando nomi di piante che non andavano mai bene, anche perché, nella maggior parte dei casi, non avevo nemmeno idea di come fossero fatte.
"Il leccio, il leccio, perbacco!!!" disse il Prof.
Ho rivolto la stessa domanda a un attuale modello linguistico (anno 2024) solitamente chiamato intelligenza artificiale.
> qual'è l'albero simbolo della Toscana?
Il cipresso è senza dubbio l'albero simbolo della Toscana. La sua figura slanciata ed elegante è strettamente legata al paesaggio toscano, caratterizzando colline, campagne e persino gli scorci cittadini.
Ecco alcuni motivi per cui il cipresso è considerato l'emblema della Toscana:
Oltre al cipresso, anche altre piante sono associate alla Toscana:
Tuttavia, il cipresso rimane l'albero più iconico della Toscana, un simbolo indiscusso della sua bellezza, storia e cultura. La sua presenza nel paesaggio toscano è un elemento distintivo e riconoscibile che contribuisce a rendere questa regione così speciale.
> non pensi che possa essere il leccio l'albero simbolo della Toscana?
È vero che il leccio è un albero importante in Toscana e ha un forte legame con la sua storia e cultura.
Tuttavia, il cipresso ha alcune caratteristiche che lo rendono più rappresentativo della Toscana:
In definitiva, sia il cipresso che il leccio sono alberi importanti per la Toscana e rappresentano aspetti significativi della sua storia, cultura e paesaggio.
La scelta del cipresso come simbolo della Toscana è probabilmente dovuta alla sua maggiore iconicità e alla sua presenza in alcune zone particolarmente suggestive della regione. Tuttavia, il leccio rimane un albero prezioso e amato in Toscana, con un forte legame con le tradizioni e l'identità locale.